Nonostante i morti fossero tre poveri carabinieri, immediatamente una cortina di depistaggi fu elevata per coprire i responsabili. Come per Piazza Fontana si diede per anni la colpa ai rossi ; la strategia della tensione serviva per quello e funzionava così. Tra i principali depistatori vi fu il generale Dino Mingarelli, condanna confermata in Cassazione nel 1992 per falso materiale ed ideologico e per soppressione di prove, e il generale piduista Giovanbattista Palumbo, che all’epoca era comandante della divisione Pastrengo di Milano e che aveva competenza su tutto il Norditalia, che inventò la pista rossa di sana pianta. Per difendere gli assassini di tre carabinieri due dei maggiori in grado dell’arma delle vittime, per anni ne fecero di tutti i colori, manomettendo e facendo sparire le prove, come si legge nelle sentenze e come racconta benissimo il giudice Felice Casson in un libro intervista che uscirà in futuro.
La strage avvenne a 15 giorni dall’omicidio Calabresi e tre settimane dopo le elezioni politiche del 7 maggio nelle quali l’MSI era cresciuto fino all’8.67%, massimo storico e ad un passo dal PSI. I colpevoli materiali della strage, condannati all’ergastolo con sentenza definitiva, erano gli iscritti all’MSI friulano Carlo Ciccuttini e Vincenzo Vinciguerra insieme ad Ivano Boccaccio, ucciso pochi mesi dopo i fatti in uno strano tentativo di dirottamento aereo all’aeroporto di Ronchi dei Legionari, in ottobre. Con Peteano c’entrano tutti, i vertici dei carabinieri, l’MSI (al quale erano iscritti tutti i terroristi) la P2, Gladio, i servizi italiani e la CIA nel pieno della strategia della tensione. Destabilizzare per stabilizzare.
Per trappolare la 500 di Peteano furono usati materiali di Gladio conservati ad Aurisina e tecniche che venivano insegnate alla Folgore a Pisa. Risoltosi il problema di Boccaccio, restavano Cicuttini e Vinciguerra. Abbiamo già detto che la strategia della tensione serviva a destabilizzare per stabilizzare e proprio l’MSI la stava capitalizzando, come il voto del 7 maggio aveva appena dimostrato. E quindi i camerati andavano salvati.
E qui interviene il nostro. Dopo la morte di Boccaccio a Ronchi, Vinciguerra e Cicuttini, segretario dell’MSI a San Giovanni a Natisone, in provincia di Udine, che faceva i comizi con Giorgio Almirante, nonostante non fossero ancora stati inquisiti per Peteano (le piste fasulle staranno in piedi per anni), si erano comunque resi latitanti. Latitanza dorata nella Spagna di Francisco Franco, dove il loro punto di riferimento era Stefano delle Chiaie e dove con questo si dedicavano al traffico d’armi. Cicuttini sposò perfino la figlia di un generale. C’era un solo punto debole del piano : la voce di Cicuttini registrata sia nei comizi dell’MSI sia nella telefonata con la quale Cicuttini attira i carabinieri nella trappola a Peteano.
E fu proprio Giorgio Almirante, il fascista in doppio petto, quello rispettabile, quello con il senso dello Stato, a proteggere l’autore della strage di Peteano fino a mandargli 34.650 dollari statunitensi in Spagna proprio per operarsi alle corde vocali. Ciò è processualmente provato. Almirante consegnò personalmente i soldi all’avvocato goriziano Eno Pascoli che li fece avere a Cicuttini a Madrid, via Svizzera. Almirante e Pascoli, incriminati per favoreggiamento dell’autore della strage di Peteano furono rinviati a giudizio insieme. Ma mentre Pascoli sarà condannato, la condanna di Almirante seguirà un corso diverso.
Il capo dell’MSI godeva infatti dell’immunità parlamentare dietro la quale si trincerò perfino per evitare di essere interrogato. La tirò avanti per anni di battaglie nelle quali non fu mai in dubbio la sua colpevolezza, finché non intervenne un’amnistia praticamente ad personam, della quale beneficiava solo in quanto ultrasettantenne. Giorgio Almirante, l’uomo d’ordine, dovette chiedere per sé l’amnistia perché il dibattimento lo avrebbe condannato e ne beneficiò (mentre il suo complice fu condannato) per il reato di favoreggiamento aggravato degli autori (militanti e dirigenti del suo partito) di un attentato terroristico nel quale vennero uccisi tre carabinieri.
Non si parla di violenza politica o di strada, di giovani di destra e sinistra che si fronteggiavano e a volte si ammazzavano ; stiamo parlando del peggiore stragismo.
Dedichiamogli una strada, lo merita : Via Giorgio Almirante, terrorista
1 commento:
Lui, Almirante, intanto, faceva la spola - anche per "missioni segrete" -
tra il "duro" ministro Mezzasoma e Mussolini. Nelle disposizioni razziali
a sua firma si tessevano elogi dell' accanimento contro i "meticci" e i
matrimoni misti, e si aggiungevano accurate precisazioni sul tasso di
"arianesimo" da garantire per rendere efficace la selezione dei
perseguitati. Più tardi, Almirante avrebbe falsamente sostenuto di avere
lasciato in un cassetto del ministero le norme "antigiudaiche" (richieste,
a suo dire, dai tedeschi), in uno scritto sprezzantemente intitolato
"autobiografia di un fucilatore".
La polemica di quel titolo era proprio rivolta all'Unità, che nel 1968
aveva pubblicato il testo di un manifesto firmato dal "capo di gabinetto"
Almirante, che intimava; "Alle ore 24 del 25 Maggio scade il termine
stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e
Tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande. (…) Tutti coloro che non
si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le
armi mediante fucilazione nella schiena. Vi preghiamo curare
immediatamente affinché testo venga affisso in tutti i Comuni vostra
Provincia". Sulla base di questo editto 83 "sbandati" furono fucilati in
Maremma. E questa terribile eredità, assieme alla militanza di Almirante
almeno fino al 25 aprile nelle Brigate nere impegnate nei massacri di
partigiani in Valdossola con il grado di tenente, macchiò per anni e anni
l'immagine pubblica del più duraturo e forte dirigente del Movimento
sociale, che un Tribunale clamorosamente per di più sbugiardò riguardo
all'editto contro gli "sbandati", assolvendo il nostro giornale
dall'accusa di diffamazione.
L'Msi l'aveva fondato proprio lui, Giorgio Almirante, assieme a una
combriccola di reduci della Rsi, nel 1946, e questa
"istituzionalizzazione" delle nostalgie più o meno eversive per il regime
fascista e per Salò, concordata con la Dc e il Vaticano, di solito gli
viene ascritta a merito. Ma pochi sanno che pochi mesi prima lo stesso
Almirante e altri futuri protagonisti della storia dell'Msi avevano
creato, tanto per non legarsi le mani, anche un'organizzazione
clandestina, detta Fronte armato rivoluzionario - Far - protagonista di
numerosi attentati e sabotaggi, che convisse fino al 1952 in un rapporto
altalenante ma quasi ininterrotto con l'Msi, e diede anche vita a un
Esercito Clandestino Anticomunista, ramificato in varie parti del paese.
Bombe carta, attentati, blitz contro cortei di lavoratori: la storia dei
Far negli anni seguenti avrebbe avuto la sua diretta filiazione in Ordine
Nuovo e Avanguardia nazionale, le due organizzazioni clandestine,
protagoniste della strategia della tensione e delle stragi. Fate
attenzione a certi album di famiglia. Tra i fondatori del Far, c'era
un'altra allora "giovane speranza" dell'eversione nera: Giuseppe Umberto
Rauti, per gli amici "Pino". Che è il suocero del sindaco di Roma che
vorrebbe oggi dedicare una strada ad Almirante; e fu per lunghi anni il
fratello-coltello del defunto leader in diversi dissidi e molteplici
scissioni e riappacificazioni della tumultuosa storia - forse ancora da
scrivere - del Movimento sociale.
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