Per quindici anni i “democratici di sinistra” ci hanno insegnato che non bisogna demonizzare l’avversario e che non c’è nessun rischio di regime antidemocratico. Ora Veltroni - che in campagna elettorale non ha mai citato nè la parola Berlusconi nè le parole conflitto di interessi - si è accorto che qualche problema c’è. I “democratici di sinistra” (e a tratti perfino i “liberali” del Corriere della Sera) iniziano a sospettare che l’uomo con cui hanno serenamente dialogato riconoscendone la caratura da statista sia estraneo alla democrazia delle regole. Veltroni arriva a dire l’inosabile: che il personaggio non merita di andare al Quirinale. Meglio tardi che mai? Non vale in questo caso. I “democratici di sinistra” e i “liberali” di via Solferino sono una parte consistente del problema: lo sfascio di cui la volgare strumentalizzazione politica della tragedia Englaro è l’ultimo segno, è il prodotto della loro ignavia.
Sul caso specifico - una tragedia privata (con delicatissime implicazioni filosofiche e morali sulle quali nessun portavoce di partito ci risparmia una dichiarazione in favore di telecamera) trasformata in un brutality show - come non essere d’accordo con chi denuncia l’ennesimo, gravissimo strappo all’ordinamento costituzionale e ai principi di separazione dei poteri e laicità dello Stato, Stefano Rodotà in testa.
Si pretende di cancellare per decreto una sentenza definitiva della magistratura. Si impone alla firma del Capo dello Stato, che preventivamente e in forma riservata aveva reso nota la sua contrarietà, un decreto legge volto unicamente a creare un polverone ideologico. Si attaccano le prerogative della presidenza della Repubblica. Si lanciano gli ennesimi strali contro la Costituzione “di ispirazione sovietica”, da cambiare in fretta in quanto “comunista”, appellandosi direttamente al “popolo”. Si ordina al Parlamento di legiferare a tempo di record, come se le Camere fossero una depandance del Governo e le leggi avessero lo scopo di risolvere casi particolari cavalcando ondate emotive. Si ritiene scontato che il “popolo” degli spettatori - adeguatamente emozionato dalla grancassa mediatica - non distingua e non ricordi nulla: né le disperate richieste di Giuseppe Englaro di una soluzione legislativa equilibrata e valida per tutti, né le sentenze delle autorità giudiziarie nel frattempo intervenute, né la latitanza del potere legislativo verso la necessità di una legge sul “testamento biologico”.
La tragedia di una famiglia diventa caso di Stato in uno Stato ridotto ad affare di famiglia. Il pagliaccesco padrone di questa Repubblica ha deciso che quella tragedia - di cui gli importa meno di nulla, come dimostrano le sue infami esternazioni di questi giorni - può tornare utile per vari motivi:
1 fare un favore a costo zero al Vaticano, che è sempre meglio tenersi buono
2 riaffermare la supremazia del potere esecutivo su ogni altro potere e su ogni altra autorità (naturalmente quando al governo c’è lui, che ormai ritiene di essersi insediato a vita)
3 mettere alla prova e possibilmente esaurire la reattività morale di Giorgio Napolitano verso le imminenti scadenze che davvero gli stanno a cuore: intercettazioni, riforma della giustizia (ritroverà il coraggio di uscire dal silenzio e dire no un’altra volta?)
4 distrarre e rimotivare il popolo dell’audience, che tuttavia - nel merito - per ora sembra non gradire i diktat vaticani in tema di accanimento terapeutico, almeno stando ai sondaggi pubblicati negli ultimi giorni
lunedì 9 febbraio 2009
ELUANA E' MORTA
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